Il ragionamento

 

L’esercizio della razionalità avviene attraverso la costruzione di ragionamenti. Un ragionamento è infatti un insieme organizzato di enunciati e gli enunciati sono composti da termini. Come si vede, ragionare equivale a utilizzare il linguaggio, ma non ogni uso del linguaggio è un ragionamento: la logica e la teoria dell’argomentazione sono le discipline che si occupano, appunto, del ragionamento, cioè del linguaggio organizzato per produrre ragionamenti corretti.


1. Segno e linguaggio

2. Il termine

3. L'enunciato

4. Il ragionamento

5. Diversi tipi di ragionamento


 

1. Segno e linguaggio

Non è nostra intenzione entrare nella determinazione di che cosa si intende con linguaggio. Per i nostri fini conta solamente una distinzione, utile a non commettere errori di tipo logico.

Anzitutto va definito il segno, linguistico e non.

Per Ch. S. Peirce (1839-1914) è "ciò che sta per qualcos'altro". La storia della trattazione del segno ha fatto emergere tre fondamentali componenti, il significante, cioè la realtà materiale (suono, linea, immagine…) che usiamo per comunicare, il significato, nozione mentale che permette il passaggio tra significante e cosa per cui il segno sta, e denotato, cioè la cosa per cui il segno sta. Lo schema del segno è quindi il seguente.

 

Si coglie subito il problema di un rapporto tra segni e realtà mediato dal significato. Possiamo trattare la correttezza nella disposizione di segni, come le parole di una frase, e porci il problema di come un termine o una frase rappresenta qualcosa. Nel primo casi ci poniamo un problema di sintassi, nel secondo di semantica.

Il linguaggio infatti possiede tre funzioni principali:

·       sintattica: con essa si valuta la correttezza degli enunciati dal punto di vista delle regole di costruzione che ogni lingua (linguaggio) utilizza

·       semantica: con essa si valuta il rapporto tra enunciati e ciò per cui essi stanno, cioè un mondo possibile

·       pragmatica: con essa si intende il fatto che il linguaggio produce azioni (“Apri la porta, per piacere”, “taci”)

Dal punto di vista della nostra analisi serviranno solo le prime due funzioni, mentre la terza, riferita ad enunciati che non descrivono la realtà ma intendono modificarla, non è di pertinenza della logica che qui analizzeremo.

Con queste premesse possiamo chiarire cosa si intende con termine, enunciato e ragionamento.

2. Il termine

“Mario”, “bianco”, “corre”, sono termini, cioè nomi, verbi, avverbi, aggettivi dotati di senso. Una frase, Per esempio “Il tavolo è bianco”, è composta da termini.

Vi sono però anche altri termini, come gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni…, che non hanno un senso in sé, ma solo nel contesto della frase. “Per”, “il”, “e” significano qualcosa solo in rapporto ad altri termini: per esempio “Mario e Giovanni sono fratelli”. Tali termini sono utili perché con la loro presenza si modifica il senso della frase, come avviene utilizzando la negazione: “Mario non è italiano”.

Vi sono quindi due tipi di termini:

·     termini categorematici (o semantici), ovvero quelli in sé dotati di senso;

·     termini sincategorematici (o sinsemantici), ovvero quelli in sé non dotati di senso ma che lo acquistano collegandosi (sin) con quelli dotati di senso, secondo le regole della sintassi del linguaggio in questione.

Finora abbiamo affermato che i termini sono o non sono dotati di senso proprio. E’ la stessa cosa chiederci se sono veri o falsi? Qui appare una distinzione fondamentale, da tenere sempre presente: la distinzione tra termini ed enunciati.

 

3. L’enunciato

Con enunciato intenderemo quella forma linguistica caratterizzata grammaticalmente da un soggetto, una copula e un predicato.

Dallo studio della grammatica sappiamo che esistono diversi tipi di enunciati. Per i nostri scopi basterà ricordarne due:

·   enunciati dichiarativi, che descrivono una qualche situazione: “Mario è italiano”, “Mario corre”; (Si noti che “Mario corre” ha due termini e non tre. In realtà deve essere vista come “Mario è corrente”. )

·   enunciati ipotetici, che esprimono una ipotesi intorno a una qualche situazione: “Se Mario corre, allora arriva prima”, “Domani potrebbe nevicare”.

Fra questi, saranno gli enunciati dichiarativi che incontreremo con maggior frequenza: da adesso in poi quando useremo semplicemente il termine “enunciato” ci riferiremo a loro, se non ci saranno indicazioni diverse.

Gli enunciati sono composti da termini, ma qui appare quell’importante distinzione che prima menzionavamo. I termini non possono essere veri o falsi: solo gli enunciati sono veri o falsi. Cerchiamo di capire perché.

“tavolo” è un termine dotato di senso dal momento che dicendo “tavolo” sappiamo che cosa vogliamo dire. Ma se diciamo solo “tavolo”, abbiamo detto qualcosa che non è né vero né falso. Solo se passiamo a “Il tavolo è bianco" affermiamo qualcosa che può essere vero o falso. Quando costruiamo una frase che afferma o nega certe relazioni tra termini, quindi quando usiamo enunciati dichiarativi, o semplicemente enunciati, solo allora possiamo parlare di verità o falsità. Se il tavolo a cui ci riferiamo nell’enunciato è proprio quel tavolo bianco che ci sta davanti e diciamo “Il tavolo è bianco”, allora questo è un enunciato vero; se invece diciamo “Il tavolo non è bianco” quell’enunciato è falso.

Avremo modo di ritornare più volte su questo punto. Ciò che conta ora è ribadire che solo gli enunciati possono essere veri o falsi. Ciò serve anche a introdurre un’ulteriore distinzione, quella tra enunciato, proposizione e giudizio.

·     l’enunciato dichiarativo (pronuntiatum, sentence, Aussagen) è l’espressione linguistica, il prodotto linguistico, di cui è possibile parlare in termini di verità o di falsità (“Il tavolo è bianco”, “The table is white”, “Der Tisch ist weiss” sono tutti enunciati);

·     la proposizione (propositio, proposition, Satz) è ciò che è invariante rispetto alle varie espressioni linguistiche di un enunciato (ciò che (“Il tavolo è bianco”, “The table is white”, “Der Tisch ist weiss” vogliono dire);

·     il giudizio è l’atto mentale di cui la proposizione è l’espressione.

Si tratta di una distinzione non sempre presente, al punto che molti autori utilizzano tali termini in modo intercambiabile. Ribadirla però mostra che il nostro ragionare si struttura almeno a tre linvelli: quello mentale, in cui produciamo giudizi, quello logico, in cui strutturiamo proposizioni, indipendentemente dal linguaggio usato, e quello linguistico, in cui scegliamo un linguaggio determinato per affermare o negare qualcosa.

Prima di abbandonare la riflessione specifica sugli enunciati è utile introdurre un’ultima classificazione, dal momento che tra gli enunciati dichiarativi esistono delle differenze. Possiamo infatti parlare di:

·     enunciati affermativi, che affermano una certa situazione;

·     enunciati negativi, che negano una certa situazione.

Ognuno di questi enunciati può essere un

·     enunciato singolare, che si riferisce ad un soggetto ben preciso (“Mario è un bimbo biondo”);

·     enunciato universale che si riferisce a tutti coloro che sono contraddistinti da una certa caratteristica (“Tutti i conigli sono erbivori”,  o “Ogni coniglio è un roditore”);

·     enunciato particolare (o esistenziale), che si riferisce a una parte di coloro che sono contraddistinti dall’avere una certa caratteristica (“Alcuni conigli sono bianchi”, o “Esistono (Ci sono) conigli bianchi”).

 

4. Il ragionamento

Un ragionamento, o processo inferenziale, è una successione di enunciati collegati fra loro in un certo modo da inferenze e tali da potersi suddividere in tre tipi:

a.      gli enunciati da cui il ragionamento parte, ossia le premesse del ragionamento;

b.     l’enunciato con cui il ragionamento si conclude, ossia la conclusione del ragionamento;

c.      quegli enunciati intermedi che permettono di passare da quelle date premesse a quella data conclusione.

Quindi con ragionamento o processo inferenziale intenderemo quella serie di passi che permette di passare da date premesse a una certa conclusione attraverso certi enunciati intermedi; da questo punto di vista, possiamo anche dire che il ragionamento è volto a giustificare una certa tesi, espressa nella conclusione, a partire da certe premesse grazie a una serie di inferenze.

Diverso è parlare di verità delle premesse e della conclusione, dal parlare di validità del processo inferenziale. Nel primo caso si analizzano i singoli enunciati che costituiscono il ragionamento, nel secondo caso, con validità si intende la correttezza dell’inferenza che fa passare da un enunciato a un altro. Le premesse sono enunciati e quindi come tali veri o falsi, l’inferenza può essere valida o invalida a seconda che segua correttamente o meno le regole che la contraddistinguono come un’inferenza di un certo tipo. Ebbene, possiamo avere 1) premesse vere e inferenze valide, ma possiamo anche avere 2) premesse false e inferenze valide, o 3) premesse vere e inferenze invalide, o 4) premesse false e inferenze invalide. Solo nel primo caso si parlerà di ragionamento giusto, mentre negli altri tre casi di ragionamento errato.

Riassumendo possiamo dire che:

a.      sono dotati o non dotati di senso i termini e ciò che con essi si compone, cioè gli enunciati;

b.     sono veri o falsi solo gli enunciati, e quindi le premesse e la conclusione di ogni ragionamento;

c.      sono valide o invalide solo le inferenze;

d.     sono giusti o errati solo i ragionamenti.

 

5. I diversi tipi di ragionamento

Abbiamo detto che il ragionamento consente di passare da alcune premesse a una conclusione tramite una serie di inferenze; così facendo il ragionamento permette di giustificare razionalmente una tesi, espressa nella sua conclusione, a partire da alcune premesse e grazie a tale serie di inferenze.

Tuttavia non esiste solo un modo per fare inferenze. In altri termini, vi sono vari tipi di ragionamento. Partiamo da alcuni esempi.

 

Es. 1 -  A implica B, ma A, quindi B.

Es. 2a - Se la ricchezza determina la felicità, e Carlo è ricco, allora Carlo è felice.

Es. 2b - Poiché in Italia si è introdotta la legge che permette il divorzio, aumenta il numero di matrimoni che falliscono.

Es. 3 - Se sono a Roma, allora sono in Lazio. Sono in Lazio, perciò sono a Roma.

 

Nell’esempio 1, siamo di fronte a un ragionamento dimostrativo, o dimostrazione: in ogni caso esso è giusto perché applica in modo valido un’inferenza deduttiva codificata dalla logica che ci permette di passare da premesse vere (‘A implica B’, e ‘A’) a conclusioni vere (‘B’) in modo necessario. Ogni volta che siamo di fronte a un ragionamento in cui si parte da premesse vere, o presupposte vere, e in cui si ha un’inferenza deduttiva necessaria codificata dalla logica allora siamo in presenza di una dimostrazione.

Nell’esempio 2a, siamo ancora di fronte a un ragionamento. Se si accettano le premesse - la ricchezza rende felici e Carlo è ricco - si accetta necessariamente anche la conclusione: Carlo è felice. Ma proprio questo è il punto: una delle premesse (la ricchezza rende felici ) non è vera, o almeno non lo è per tutti. Qualcuno può legittimamente sostenere che la ricchezza non renda felici. Certo l’inferenza in questo ragionamento è necessaria, essendo un’inferenza deduttiva codificata dalla logica, ma – ripetiamo – le premesse non sono vere, o presupposte vere, e quindi non siamo in presenza di una dimostrazione. Infatti se fosse vero che la ricchezza rendesse felici, allora chiunque fosse ricco sarebbe anche felice. Ma questo non accade: esistono persone ricche che non sono felici (come pure persone felici senza essere ricche). Insomma, l’inferenza è necessaria, ma le premesse non sono vere. Per questo parliamo di ragionamento argomentativo. Quando manca la verità della premessa, siamo di fronte a un ragionamento argomentativo, non ad una dimostrazione.

Nell’esempio 2b, siamo di fronte ad una situazione ancora diversa. La premessa è vera - infatti in Italia dal 1970 è in vigore la legge sul divorzio - ma l’inferenza è discutibile, non è un’inferenza deduttiva necessaria codificata dalla logica. Non è detto, infatti, che una legge produca l’effetto che regolamenta. Un fallimento matrimoniale dipende da molte cause, e certo non solo dalla possibilità di divorziare legalmente. Quindi siamo ancora di fronte a un ragionamento argomentativo in cui la conclusione non è raggiunta necessariamente, ma ciò avviene perché non è necessario il modo di inferire e non perché le premesse non siano vere, come nel caso precedente.

            Nell’esempio 3, siamo di fronte a un ragionamento errato, cioé una fallacia, propriamente quella chiamata “affermazione del conseguente”. Qui si afferma che se A implica B, e si dà B, allora si dà anche A. Ciò è sbagliato, perché la verità di A non dipende solo dal darsi di alcuni casi in cui B è vero. Relativamente all’esempio, possiamo essere nel Lazio senza essere a Roma, ma trovandoci a Rieti o a Latina.

Concludendo possiamo dire che esistono almeno tre tipi di ragionamento, i primi due giusti e l’altro errato:

·     ragionamento dimostrativo (o dimostrazione), in cui le premesse sono assunte come vere, e quindi non discutibili, le inferenze sono deduttive e fissato da regole rigide codificate dalla logica e la conclusione segue in modo necessario e non discutibile;

·     ragionamento argomentativo (o argomentazione), in cui sia le premesse, sia le inferenze sono suscettibili di critica e quindi la conclusione cui si giunge non è necessaria;

·     ragionamento fallacie (o fallacia), in cui una o più inferenze sono invalide e perciò va rigettato anche se le premesse sono vere.

 In tutti questi casi, come visto, si parte da premesse e si arriva a una conclusione tramite un certo processo inferenziale. Ma le caratteristiche di questi tre elementi comuni sono diverse.

Nel caso della dimostrazione si è soliti dire che il ragionamento avviene in un “ambiente chiuso”, nel senso che le sue regole sono fissate strettamente dalla teoria della deduzione, e quindi esso non è discutibile una volta accettato. La dimostrazione è il ragionamento tipico delle scienze, specie delle scienze formali come la matematica o la logica.

Nel caso dell’argomentazione si dice che il ragionamento avviene in un “ambiente aperto”.  Le premesse non sono assunte come vere, non vi è un insieme di regole inferenziali valido per ogni caso, il passaggio dalle premesse alla conclusione non è tale da comportare l’indiscutibilità della conclusione, che allora si dice giustificata argomentativamente o argomentata. Se la dimostrazione è il ragionamento tipico dell’ambito scientifico, l’argomentazione è il ragionamento tipico dell’ambito filosofico, ma anche dell’ambito quotidiano.  Il ricorso all’argomentazione è infatti enormemente più diffuso di quello della dimostrazione, perché per lo più ci troviamo in situazioni in cui la nostra razionalità si esercita su premesse discutibili, su passaggi controversi, su problemi complessi. La filosofia, la vita di tutti i giorni, ma spesso anche le scienze, ricorrono ai ragionamenti argomentativi per giustificare le proprie tesi, ed è per questo che ne studieremo le forme, le regole e gli errori.

Infine nel caso delle fallacie potremmo dire che esse non rientrano propriamente tra i tipi di ragionamento dal momento che si basano su inferenze invalide. Tuttavia si tratta di errori in cui spesso si incorre quando ragioniamo e per questo è necessario saperle riconoscere e criticare.

Riassumendo, possiamo strutturare così il quadro dei diversi tipi di ragionamento.

 

 


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